Referendum: come evitare che sia un plebiscito 2.0

Il referendum del 4 dicembre si avvicina e, al momento, credo che l’unica ragione davvero valida per votare “Sì” sia quella di abolire Antonio Razzi.

Ma il punto è un altro.
Siamo proprio sicuri di volerci pronunciare su un argomento tanto importante, quando ci sono fior di docenti e studiosi di diritto costituzionale che possono esprimere un parere sulla riforma proposta con maggiori conoscenze e competenze dell’italiano medio?

Intendiamoci: non sono contraria al referendum in quanto forma di consultazione popolare.
Apprezzo che ci si possa esprimere su argomenti come la caccia, l’acqua pubblica, l’orario di apertura dei supermercati.
Argomenti semplici, alla portata di tutti.

La questione non è banale se pensiamo che l’Italia è prima nella classifica dei paesi con il più alto tasso di analfabetismo funzionale, che colpisce il 47% della popolazione (dati OCSE).
Secondo studi condotti dal linguista Tullio De Mauro, meno del 30% dei nostri connazionali è in grado di comprendere discorsi politici, e solo il 20% ha le competenze minime necessarie “per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana”.
In sintesi: un popolo di inconsapevoli, che vota “con la pancia”, scegliendo i politici in base al fatto che restituiscano l’Imu o che regalino 80 euro in busta paga.

Del resto, la prima consultazione popolare della storia fu indetta da Ponzio Pilato, e sappiamo tutti come andò a finire.

Quindi, come impedire ai vari Mauro da Mantova e Donato da Varese (gli ascoltatori di Radio24 sanno di chi sto parlando) di decidere il futuro dell’Italia?

Sbarazzandoci degli elettori ignoranti attraverso un test, come suggerisce David Harsanyi sul Washington Post (si riferisce alle presidenziali americane, ma trovo che il ragionamento funzioni comunque e possa essere applicato a qualunque forma di voto).

“L’esame di educazione civica usato per ottenere la cittadinanza andrebbe benissimo. Quanti dei rumorosi sostenitori dei principali candidati lo supererebbero?”

Questo è il punto. Vorrei davvero sapere in quale misura gli italiani sarebbero ancora interessati ad esercitare il sacrosanto diritto di voto nel momento in cui richiedesse un minimo di studio, di preparazione e di approfondimento.

“Per il bene delle nostre istituzioni democratiche, è necessario fare in modo che il voto venga inibito alle persone ignoranti: se non avete idea di cosa sta succedendo, sottrarci alla vostra disinformazione è un dovere civico”.

Applichiamo il ragionamento al quesito referendario del 4 dicembre: quante, tra le persone che si recheranno alle urne, sanno davvero cosa sia il CNEL, o in cosa consista il titolo V della parte II della Costituzione?
(Per chi non lo sapesse, ecco un link utile per approfondire).

Ovviamente il test dovrebbe essere somministrato anche ai politici, e forse vedremmo meno Gasparri, Calderoli e Giovanardi aggirarsi a Roma, nei palazzi del potere.

Siamo già tutti commissari tecnici della Nazionale di calcio.
Evitiamo di diventare in massa anche costituzionalisti.

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