Facebook, il problema non è Cambridge Analytica: siamo noi

2 giorni di audizione al Congresso per Mark Zuckerberg, prima in Senato poi alla Camera, dove ha testimoniato sullo scandalo della violazione di dati messa in atto da Cambridge Analytica, società legata all’ex consigliere di Trump, Steve Bannon.

Il papà di Facebook ha risposto a decine di domande, talvolta faticando a capirle perché prive di senso, poste da persone con idee piuttosto confuse sul funzionamento delle app e della Rete in generale.
Nonostante i deputati si siano dimostrati più preparati dei senatori, è emerso un quadro evidente: il rapporto tra politica e tecnologia non è dei più immediati e le regole dei social network riguardo il trattamento dei dati e la privacy sono materia oscura anche per i membri del Congresso, nonostante abbiano a disposizione team di esperti e tempo per studiare le carte.

Quindi il problema sono loro, siamo tutti noi: gli u-tonti.
Perché chiariamo un aspetto fondamentale: Cambridge Analytica non ha rubato i nostri dati, glieli abbiamo regalati noi in preda a quel rincoglionimento collettivo che ci rende indispensabile conoscere il colore della nostra anima, a quale animale somigliamo e qual è il nostro punteggio a letto.

La app incriminata, sviluppata da un ricercatore dell’Università di Cambridge, per restituirci un profilo psicologico ci ha chiesto di poter accedere ai nostri dati: indirizzo email, età, sesso e altre amenità. E noi, che non distribuiremmo mai una fotocopia della carta di identità a un gruppo di sconosciuti, abbiamo accettato con entusiasmo, “vendendo” non solo le nostre informazioni ma, ciò che è peggio, anche quelle dei nostri amici. Tanto non abbiamo niente da nascondere, chissenefrega.

Dopodiché Cambridge Analytica ha analizzato like, condivisioni e commenti e ne ha tratto alcune conclusioni.
Ad esempio su Pinco Pallo: va regolarmente a prostitute; pensa che sia giusto poter comprare le armi al supermercato; è convinto che Elvis Presley sia ancora vivo e se la stia spassando con Moana Pozzi in un paradiso tropicale. In pratica Pinco Pallo corrisponde al tipico profilo del genio che, messo di fronte a qualche pubblicità di Trump con la promessa di Viagra gratis e free Kalashnikov per tutti, lo voterà volentieri.

Risultato: il pannocchia ha vinto le elezioni americane.
Ma la colpa non è di Facebook, è degli analfabeti funzionali che si lasciano condizionare nelle scelte politiche da ciò che vedono sui social network.

Quindi, prima di votare uno che gioca a chi ha il pulsante nucleare più grosso, cominciamo a studiare, impariamo a verificare le informazioni, sforziamoci di sviluppare un senso critico, esercitiamo la razionalità.

E ricordiamo la lezione di  Albert Camus: “Un impiegatuccio in un ufficio postale è pari a un conquistatore se la consapevolezza è comune ad entrambi”.

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