Il mio 2018, in un mare di istanti

Ancora poche ore e il 2018 sarà finito.
Si dissolverà negli anni passati, lasciando dietro di sé una traccia di momenti da trasformare in ricordi o, semplicemente, da disperdere nel silenzio, come polvere al vento.

Cosa scarto, cosa conservo, cosa riciclo?

Dell’anno trascorso vorrei buttare, in toto, la politica.
E non mi riferisco tanto ai risultati del 4 marzo, al “governo del cambiamento” o alla manovra (che pure meriterebbero sprecassi qualche parola).
Mi riferisco al processo che ha trasformato la ragion di Stato in un’esperienza emotiva che si rafforza sui social network, ai toni da stadio, all’esaltazione dell’incompetenza, all’agonia della grammatica e, soprattutto, allo storytelling nazionalpopolare che, per tutta l’estate, ci ha sbattuto in faccia la panza del vicepremier: almeno quest’immagine, caro 2018, ce la potevi proprio risparmiare.

Vorrei buttare la disumanità di chi chiude i porti e abbandona i migranti in mezzo al mare, di chi giura sul Vangelo per poi scambiare esseri umani con consenso elettorale, di chi gioca a braccio di ferro sulla vita dei disperati. E non parlo solo di Salvini, di Toninelli e dell’imperversante sovranismo italico. Parlo di Macron, di Ventimiglia e Bardonecchia. Dell’Europa intera.

Vorrei buttare la vergogna dell’indifferenza, del cinismo e dell’arroganza.
Vorrei buttare la zavorra dell’ideologia fascista che ci impedisce di sperare in un futuro possibile, perché ancora umano.

Ma soprattutto vorrei tenere, tenere tantissimo, come un accumulatore seriale di magia che ferma il tempo per conservare il valore di ogni singolo istante.

Vorrei tenere l’eroismo delle persone “normali”: vigili del fuoco, forze dell’ordine, medici, infermieri e volontari che ogni giorno si prodigano per il benessere del prossimo, in una quotidianità fatta di coraggio, altruismo e solidarietà.

Tengo Riccardo Muci, il poliziotto della stradale che, nonostante le ustioni di secondo e terzo grado, portava in salvo gli automobilisti durante l’esplosione a Borgo Panigale.
Tengo Marc Gasol, campione Nba che a luglio salvava i profughi in mare come volontario di Open Arms.
E tengo anche Louis M. Profeta, medico del pronto soccorso di Indianapolis, che  cerca i profili Facebook dei ragazzi prima di comunicare il loro decesso ai genitori perché, dice, “Mi fa restare umano”.

Tengo le ore che durano attimi, guardando le stelle cadenti con Manu, e gli attimi che durano ore, seduta in ospedale con Fede. Tengo le cene coi vicini di casa, le serate sui pattini e i messaggi con gli auguri di compleanno arrivati, senza l’aiutino di Zuckerberg, dagli amici veri. Perché l’amicizia si celebra con pizza, birra e risate, non su un social del cavolo.

Tengo un viaggio a Milano, un’eclissi di luna, le fette biscottate spalmate di marmellata, un Chicken Wrap, un Amarone e tutti quei momenti fatti di poco e pieni di molto.

Tengo il 10 di luglio. La magia e l’infinito di quell’istante in cui tutto prende forma: in un volto, un sorriso o nello sguardo di chi, come me, si è perso nella stessa ricerca.

Tengo un libro straordinario: La strada di Cormac McCarthy. Una storia che colpisce come un pugno nello stomaco, che penetra e scava nella carne ricordandomi che, alla fine di tutto, ciò che rimane davvero addosso è quel poco che siamo riusciti ad imprimere nella memoria, in fondo all’anima.
Quel poco, che ci consente di restare umani.

– Devi portare il fuoco.
– Non so come si fa.
– Sì che lo sai.
– È vero? Il fuoco, intendo.
– Sì che è vero.
– E dove sta? Io non lo so dove sta.
– Sì che lo sai. È dentro di te. Da sempre.

E riciclo, come un Georges Méliès che rimonta nel secondo tempo: la gratitudine, la fiducia e il privilegio di poter commettere errori, perché chi sbaglia prova cose nuove, impara, vive, cambia sé stesso, si spinge fino al limite, rivoluziona il mondo.

Il 2018 è stato un anno in cui ho sorriso, pianto, vissuto e amato. Ho sofferto e sentito la forza di una mano che mi stringe. Ho respirato in due e annaspato da sola. Ho perso il respiro e l’ho ritrovato, sentendomi più forte. Ho provato rabbia, sconforto, disperazione, eccitazione e speranza. Ho visto albe e tramonti. Sole e pioggia. Giornate di luce e stanze buie.
Ho spento l’iPod per ascoltare il rumore del mare.
Ho avuto un mare nel cuore.
E cuore, da riempire il mare.

 

– Il mio 2017, in un puzzle disarmonico
– Fotogrammi di un 2016 che finalmente se ne va
– Un 2015 senza risposte ma con tanta gratitudine
– Profumi e calore di un 2014 pieno di persone
– La felicità del 2013, in un bicchiere
– 2012: il mio backup
– Il mio 2011, tra reale e virtuale

Share Button