Libera nos a Metaverso

Il 2021 è stato un altro anno di pandemia, di mascherine e igienizzanti, di saluti col gomito e abbracci negati, di vite vissute a un metro di distanza.
A causa di un nemico invisibile che ha reso il mondo impotente e fragile, abbiamo bandito ogni forma di contatto e vicinanza, convertendo le abitudini di comunicazione all’intangibile modalità “remoto”.

In un contesto già intollerabilmente impersonale, la brillante intuizione di Zuckerberg non poteva che essere il Metaverso.
Quando si dice tempismo.

Un grande spazio virtuale immersivo in cui potremo vivere la nostra quotidianità: riunioni di lavoro, chiacchiere con gli amici, attività sportive, viaggi, magari incontri sentimentali: tutto rigorosamente dal divano di casa, con un visore sugli occhi, i corpi immobili e un profilo digitale che “vive” al posto nostro oltre quel visore.

E la chiamano pure “evoluzione”: dal primate all’uomo, dall’uomo all’avatar.
Magnifiche sorti e progressive ci attendono in un universo tridimensionale popolato da ombre, in un perenne abbraccio impossibile tra Ulisse e lo spirito di Anticlea, quando l’eroe vorrebbe stringerla a sé ma per 3 volte le braccia gli tornano al petto.

Il 2021 è stato un annus horribilis, ma almeno lo abbiamo vissuto.
Perché la vita punge, graffia, strappa, delude ma è vita proprio per questo, con tutti quei dolori e quelle gioie che la realtà aumentata non può sostituire.

Meglio essere persone che personaggi digitali.
Meglio i limiti, le debolezze, gli errori e i rimpianti alla perfezione asettica del Metaverso.
Meglio fare la fila per il tampone, prendere una multa, pagare la bolletta, dimenticare le chiavi, inzupparsi sotto la pioggia.
Meglio le ansie, le preoccupazioni, le soddisfazioni, l’ossigeno reale all’ecosistema virtuale.
Meglio la vicinanza tra corpi, gli sguardi che raccontano emozioni, gli occhi che sanno penetrare e lasciarsi penetrare, allargarsi o restringersi, focalizzare o disperdersi nell’infinito, fulminare, accarezzare, abbracciare.
Meglio essere Sharon Stone che spara ai monitor di William Baldwin, ossessionato voyeur di esistenze altrui, intimandolo: “E adesso vivi”.

Perché la vita non è un videogioco, è vita solo sulla pelle.

Share Button