Perché Draghi non è adatto al Colle

Lo ammetto: sono stata la prima ad entusiasmarmi per la totale estraneità di Mario Draghi rispetto al chiacchiericcio social, auspicando una politica gestita nelle sedi opportune e non urlata sul Web, in un’eterna ricerca di protagonismo.

Eppure limitare la smania di comunicazione, non cedere al canto delle sirene fatto di pollicioni e cuoricini non significa eludere quel legittimo desiderio di informazione che oggi mi induce, come Michelangelo davanti al suo Mosè, a chiedere al premier: “Perché non parli?”.

Nella conferenza stampa del 22 dicembre scorso, Draghi ha detto: “Vorrei prima di tutto ringraziare voi giornalisti per ciò che fate per la democrazia e la libertà”.
Epperò da quando è premier non ha rilasciato una sola intervista.
Peggio: quando è stato emanato il decreto sull’obbligo vaccinale per gli over 50, non ha nemmeno ritenuto necessario spiegarlo ai cittadini, limitandosi a mandare in piazza 3 ministri, per poi scusarsi a posteriori: “Avevo sottovalutato, spero che questa conferenza stampa sia stata riparatoria”.

Auspicare un Draghi Presidente della Repubblica mi sembra, se non del tutto inopportuno, quanto meno anacronistico: non solo perché non può abbandonare la legislatura alla precarietà senza aver portato a compimento il rilancio economico, o perché lo Stato non è un’azienda con progressioni verticali ma necessita di equilibri costituzionali, ma soprattutto perché un premier che adotta provvedimenti che impattano sulla vita di milioni di italiani deve metterci la faccia, e risponderne pubblicamente.

I dpcm attraverso i quali questo governo confida di arginare la pandemia devono essere motivati, spiegando le evidenze scientifiche che guidano le scelte.
In base a quale meccanismo di prevenzione del contagio si vieta l’acquisto di beni considerati non essenziali? Perché non nuocerebbe alla salute collettiva recarsi in Posta per ritirare la pensione ma sarebbe oltremodo letale andarci per pagare una multa? Qual è la ratio secondo la quale adempiere a certe pratiche in un ufficio pubblico risulterebbe più dannoso per la comunità che sbrigarne altre?

La decisione di adottare il green pass, sia in versione base sia in versione rafforzata, era stata motivata dalla necessità di ridurre il numero di non vaccinati, inducendo il più possibile le persone a farsi inoculare: se l’obiettivo rimane questo occorre non solo specificarlo ma, a posteriori, illustrare i risultati ottenuti, altrimenti il messaggio che passa è che l’unica finalità sia vessatoria e ritorsiva.
Ma anche nel caso in cui l’intento fosse unicamente punitivo, perché non ammetterlo come ha fatto Macron in un’intervista rilasciata a Le Parisien, nella quale ha candidamente sostenuto che le politiche restrittive francesi servono a “rompere le palle” il più possibile ai non vaccinati?

La necessità di combattere l’emergenza sanitaria in corso limitando le libertà personali può sì legittimare l’adozione di misure eccezionali, ma di certo non legittima l’arbitrarietà con la quale le decisioni vengono prese e la totale assenza di spiegazioni che inducano l’elettorato a comprenderne motivazioni ed obiettivi.

Se è vero che Draghi rappresenta “l’uomo forte”, scelto da una classe politica confusa e inconsistente per distrarre l’opinione pubblica dai propri limiti e delegare ad altri l’onere di scontentare tutti, è altrettanto vero che le ambizioni da Presidente della Repubblica mal si conciliano con un’evidente riluttanza a rendere conto delle proprie decisioni.

Nel 1933 Franklin Delano Roosevelt, per comunicare col popolo americano ed infondere fiducia a una Nazione provata dalla Grande Depressione, inaugurò i “discorsi del caminetto”: chiacchiere informali per mantenere aperto un canale con i cittadini.

A distanza di 90 anni la lezione è ancora valida e chi governa un Paese non può trincerarsi dietro un “no comment”: in politica la forma è sostanza.

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