Covid-19, la teoria che offende l’educazione dei media

I primi casi di Covid-19 sono stati registrati nella città cinese di Wuhan, proprio dove c’è un laboratorio biochimico specializzato nello studio dei Coronavirus.
Eppure, per tutto il 2020, l’idea che il virus fosse fuoriuscito da quel laboratorio è stata off limits, ridotta a leggenda metropolitana dalla teoria prevalente che ritiene l’agente patogeno passato dai pipistrelli all’uomo attraverso “una specie ospite intermedia”, come un animale selvatico, venduto nel wet market locale.

Il 19 febbraio 2020 la rivista medica The Lancet ha orientato l’opinione della comunità scientifica internazionale pubblicando una dichiarazione, firmata da 27 scienziati, che respingeva categoricamente l’ipotesi di virus con origine artificiale, etichettandola come “teoria del complotto” ed esprimendo solidarietà a ricercatori e operatori sanitari cinesi.

Il dibattito, già formalmente chiuso, ha poi subito il colpo mortale attraverso l’insopportabile operazione di “framing” messa in atto da Donald Trump: ostinandosi a definirlo “virus cinese” ne evidenziava la provenienza, attribuendone implicitamente la responsabilità e alimentando becera xenofobia.

Risultato: dal New York Times al Washington Post, passando per i principali media mainstream, rifiutare a priori di incolpare un governo straniero e opporsi a qualunque posizione assunta dall’amministrazione Trump, tacciandola di razzismo, negazionismo ed estremismo, è diventato prioritario rispetto alla ricerca della verità.

Perfino Facebook, ormai assurto ad arbitro indiscusso del dibattito internazionale, ha adottato una politica di rimozione dei post in cui si affermava che il virus fosse artificiale o prodotto in laboratorio, equiparando al complottismo da tastiera qualunque tentativo di approfondimento pur legittimo, soprattutto alla luce del fatto che il governo cinese ha impedito agli osservatori esterni di indagare sull’origine del Covid-19.

Tuttavia, considerare la possibilità che i livelli di sicurezza di un laboratorio statale cinese non siano riusciti ad impedire la fuoriuscita del virus non è maggiormente razzista rispetto a puntare il dito contro la cultura locale (“Abbiamo visto tutti i cinesi mangiare topi vivi”, dichiarò il governatore del Veneto Zaia, in un tripudio di intelligenza emotiva): è solo più filogovernativo.

A prescindere che l’ipotesi del rilascio accidentale sia o meno una possibilità concreta, è comunque chiaro che i media non hanno affrontato la questione con mente aperta, affrettandosi ad accettare la teoria dell’origine naturale del virus come più ortodossa e maggiormente incline al rispetto del politicamente corretto.

Lo scopo del giornalismo, però, non dovrebbe essere quello di omologare il ragionamento creando una narrazione culturalmente sensibile e addomesticata alla convenienza dell’establishment ma di scardinare i paradigmi del pensiero dominante, rilevando elementi di discontinuità e incongruenza.

Dove sono i Bob Woodward e i Carl Bernstein di questo mondo quando servono? Troppo occupati ad abbracciare cinesi, sapientemente consigliati dal sindaco Nardella?

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