Open to figuraccia

L’Italia illustrata nella nuova campagna internazionale di promozione turistica del Ministero del Turismo ed Enit “Open to meraviglia”, non finisce di sorprendere, ma è tutt’altro che meravigliosa.
Secondo quanto si legge sul sito del Governo, “la campagna ha come testimonial la Venere di Sandro Botticelli: riconoscibile da tutti attraverso lo sguardo e il segno inconfondibile dei suoi capelli, questa virtual influencer viaggerà lungo lo Stivale raccontandone i paesaggi, le mete iconiche delle città d’arte così come i piccoli borghi, le tipicità enogastronomiche e le tante declinazioni dell’offerta turistica”.

Il sito di riferimento, italia.it, è lo stesso lanciato nel 2007 da Francesco Rutelli attraverso il celebre “plis visit itali”, poi chiuso nonostante i 45 milioni investiti. Ora l’investimento corrisponde a 114 milioni, quelli del Pnrr, ed ha l’ambizioso obiettivo di renderlo punto di riferimento internazionale della promozione turistica italiana.

La campagna, però, sta inanellando una gaffe dopo l’altra, ed è protagonista assoluta della derisione social.
A partire dal claim, tanto ingenuo quanto indigesto, realizzato in un improbabile bilinguismo che mescola italiano e inglese, alla ricerca di un respiro globale che inciampa nel provincialismo più sfacciato.
Piuttosto, essendo rivolto a un pubblico internazionale, l’utilizzo dell’inglese sarebbe stato più logico, come ha fatto la Danimarca con “The land of everyday wonder” (i cui spot, però, fanno venire realmente voglia di visitare Copenaghen).
Ma questo è una scimmiottatura di un vecchio flop, quel VeryBello! di Franceschiniana memoria, portale Web lanciato dall’allora ministro dei Beni culturali e del Turismo per dare risonanza agli eventi italiani in occasione dell’Expo.
L’idea è palesemente la stessa: cominciare lo slogan con una parolina inglese (che fa sempre fino) per poi precipitare inesorabilmente nell’italiano, stavolta addirittura con un vocabolo, “meraviglia”, impronunciabile da chiunque non mastichi la nostra lingua.

Ma fosse solo questo potremmo anche chiudere un occhio, come si fa con un bambino pigro che proprio non vuole applicarsi.
Ovviamente, c’è di più.
Nel video promozionale della campagna, un gruppo di ragazzi brinda con un vino sloveno in una cantina slovena, diretto da un regista olandese che ha venduto il materiale a una piattaforma israeliana. Alla faccia del Made in Italy.
Il rapporto con l’italianità risulta complicato perfino sul sito, dove i nomi delle varie destinazioni, tradotti dall’intelligenza artificiale, si alimentano di nuove suggestioni, soprattutto nella versione in tedesco, che ci guida alla scoperta di Rasen (invece di Prato) e ci illustra le bellezze di Toast (che poi sarebbe Brindisi).

Fanno pendant con lo slogan immagini ibride, a metà strada tra realtà e dipinto, e @VenereItalia23 è penalizzata da una tale, apatica inespressività che farebbe soffrire Botticelli, per non parlare dell’abbigliamento che sembra uscito dal Postalmarket anni 80 (con buona pace della leggendaria eleganza italica) e dei contesti nei quali viene immortalata, un tripudio di stereotipi dalla pizza alla Vespa.

Il tutto al modico costo di 9 milioni di euro, che in realtà non sarebbero nemmeno una cifra così esorbitante se si pensa agli investimenti di diffusione internazionale e a quanto il turismo sia strategico per l’economia del Belpaese, ma che lascia l’amaro in bocca per una realizzazione talmente sciatta da non suscitare lontanamente il desiderio di scoprire il nostro immenso patrimonio artistico. Un euro di investimento in una cartolina del Colosseo avrebbe centrato maggiormente l’obiettivo.
Da cosa dovrebbero essere attratti esattamente i preziosi turisti esteri, se agli stereotipi che cannibalizzano una ricchezza culturale e ambientale unica al mondo, si aggiungono i titoli delle testate internazionali che prendono di mira l’iniziativa? “Video turistico italiano ridicolizzato per l’uso di filmati della Slovenia”, solo per citare la Cnn, trasformandoci in popolo di santi, poeti, navigatori e perculati.

Ce ne sarebbe abbastanza per ammettere il fallimento e magari, chissà, imparare dagli errori. Non fosse che l’agenzia Armando Testa, incaricata della campagna, non ci pensa neanche e acquista una pagina sul Corriere della Sera per celebrare il clamoroso successo dell’operazione.
“Open to grazie” titola la pagina che si rivolge al pubblico, esprimendo gratitudine per i commenti, i meme e la derisione tutta, che però viene definita “dibattito culturale acceso”.
In pratica si appella al mantra più inflazionato di sempre per giustificare una comunicazione grossolana, che genera rumore senza trasmettere il messaggio: “purché se ne parli”.
Peccato che esista anche un dettaglio per nulla trascurabile che prende il nome di REPUTAZIONE: si impiegano anni per costruirla ma è sufficiente una sola campagna raffazzonata per incrinarla.
Ma il passaggio più divertente è quello in cui l’agenzia ringrazia anche perché abbiamo immaginato che un video destinato alla presentazione del progetto, e dunque realizzato con materiale di repertorio, fosse lo spot ufficiale della campagna. Raccontando dunque, e nemmeno troppo velatamente, una Santanchè distratta e cialtrona che avrebbe scambiato per campagna vera e propria una malacopia creata per uso interno.
Il tutto firmato da Armando Testa in persona, morto 30 anni fa e, a quanto pare, improvvisamente risorto per godersi questo trionfo di mediocrità.

Tra le sfide che attendono il settore turistico italiano c’è la capacità di fare rete e digitalizzarsi attraverso la realizzazione di un hub che connetta l’offerta culturale del Paese.
E speriamo di non trasformarci in involontari spettatori di una campagna pubblicitaria con Amore e Psiche che accompagnano i Måneskin, suonando il mandolino.

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