2020, troppe parole per un anno in pigiama

Il miglior aggettivo per il 2020?
LUNGO. E’ stato un anno lunghissimo, il più lungo di sempre, praticamente infinito, e non per quel giorno in più dovuto al bisestile ma per quell’accanimento di eventi nefasti che, secondo i superstiziosi, è comunque imputabile proprio al 29esimo giorno di febbraio.

Archiviate le canzoni dal balcone, il pane fatto in casa, le code al supermercato, le penne lisce rimaste sullo scaffale, il saluto col gomito, gli aperitivi su Zoom, il 2020 ci lascia tante parole nuove e la solita pessima comunicazione.

Nel 1630, durante la peste che colpì Milano, la lingua italiana si arricchì della parola “untore”, che Manzoni utilizzò prontamente già nella prima redazione dei Promessi sposi.
Il Covid-19 ha fatto di meglio, generando una serie infinita di nuovi vocaboli in un fantasioso e schizofrenico Devoto-Oli della pandemia: dal paziente zero alla curva dei contagi all’indice di trasmissibilità, passando per remdesivir, idrossiclorichina, ffp1-2-3.
E dire che eravamo partiti da “è solo un’influenza”, culminata nel “virus clinicamente morto”, affermazioni che ci sono costate 74.000 vittime, perché le definizioni contano e la disinformazione pure.

In attesa della tanto agognata immunità di gregge (per ora abbiamo raggiunto solo la stupidità di gregge, ma non smettiamo di sperare), ci siamo ritrovati chiusi in casa, trasformati in “signorine buonasera” dalle gioie dello smart working: mezzibusti in giacca e pantaloni del pigiama, la dignità salvaguardata dallo sfoggio dei classici sulla libreria.

Prigionieri di divieti e restrizioni, lo spettro cromatico ridotto a 3 colori, runner nemici giurati e rider angeli salvatori, studenti e movida da colpevolizzare, 5 persone per metro quadro su un tram come abbondante spazio vitale.

“Sono negativo” diventa espressione positiva, “sono stato tamponato” si riferisce più spesso al bastoncino nel naso che alla collisione posteriore, sebbene maggiormente calzante per definire l’anno appena trascorso.

Pure i Dpcm hanno riscritto il nostro modo di parlare: lockdown, distanziamento sociale, assembramenti, didattica a distanza, coprifuoco, ristori e autocertificazioni da collezionare.
La differenza tra attività motoria e sportiva ha circoscritto la possibilità di uscire, quella tra congiunti e affetti stabili ha decretato la libertà di amare.

Dopo mesi di pandemia linguistica, tra spillover e infodemia, inglesismi e neologismi, moderne parole e antiche parolacce, finalmente il 2020 può essere descritto col più atteso e rassicurante degli aggettivi: FINITO.

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