Pubblicità: la differenza tra bellezza e sessismo

Ci risiamo.
Le città vengono tappezzate con manifesti di una gnocca seminuda e un gruppetto di meticolose femministe grida allo scandalo.

Stavolta è toccato ad Intimissimi e alla sua pubblicità del reggiseno in pizzo “bralette”, indossato per l’occasione dalla bellissima modella russa Irina Shayk, prontamente ricoperta di adesivi con la scritta “anche questa è violenza” dalle donne aderenti all’associazione Non una di meno.

Peccato che, essendo il prodotto pubblicizzato un reggiseno, risulti un po’ difficile promuoverlo senza mostrare il corpo di una donna.
Certo, lo si potrebbe rinchiudere in uno scafandro, oppure si potrebbe mostrare un uomo in mutande e lo slogan “immaginate che sia una donna”. Ma non mi sembrano soluzioni altrettanto efficaci.

E’ vero che il corpo femminile viene spesso abusato e sfruttato, fuori da ogni contesto, per vendere qualunque tipo di prodotto, per far salire l’audience di trasmissioni televisive o per garantire click ai siti Web, alimentando stereotipi e discriminazione.
Ma scomodare la violenza, almeno in questo caso, è del tutto fuori luogo.

Questa pubblicità fa il suo lavoro: attira l’attenzione, esalta il prodotto, seduce.
E lo fa senza volgarità e doppi sensi, senza ledere in alcun modo la dignità del gentil sesso.

Personalmente mi ritengo molto più offesa dagli spot che, ancora oggi, propongono un’immagine scontata, insulsa, infarcita di cliché anni ’50 di donna servizievole, compiacente e, soprattutto, scema.
Tipo la mamma che suona il Mocio Vileda come una chitarra, dopo aver permesso al figlio di attraversare il soggiorno con le scarpe zozze, o la “brava Giovanna” che ancheggia nello spot del silicone Saratoga.
Questa è mortificazione femminile, non un reggiseno.

Dovendo scegliere, la nudità è meno degradante della stupidità.
Con buona pace del femminismo (o dell’invidia).

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