“Bravi, siete sopravvissuti alla maratona di Boston”

Chi ha studiato il marketing conosce sicuramente le “4 P” di Kotler (Product, Price, Place, Promotion) e la loro relativa evoluzione nelle “4 C“, che sposta il focus dall’azienda al cliente: Customer value, Change, Convenience, Communication.

In una modernità in cui la sovraesposizione pubblicitaria ci ha reso immuni anche ai messaggi più accattivanti, in cui la necessità di attirare l’attenzione spinge i marketer a dimostrarsi sempre più aggressivi, diventa ogni giorno più evidente la necessità di aggiungere altre 2 C: Common sense e Context.

Una buona campagna di marketing, infatti, deve partire da una base di buonsenso, di riflessione, di accortezza, di criterio.
Bisogna “usare dell’usta”, come si dice in dialetto emiliano-romagnolo.
E, soprattutto, è indispensabile “contestualizzare”, perché anche lo slogan migliore del mondo può risultare sgradevole se non tiene conto del tessuto sociale e culturale nel quale viene proposto, e dei fatti di cronaca ad esso collegati.

Alcuni anni fa la compagnia aerea Cathay Pacific è riuscita a bloccare in tempo una campagna pubblicitaria con slogan “Il team che va oltre gli extra per farti sentire speciale”.
Cosa c’era di sbagliato? Apparentemente nulla.
Non fosse che, a pochi giorni dal primo lancio previsto, la compagnia è stata investita dallo scandalo di una hostess scoperta in cabina di pilotaggio mentre praticava sesso orale al pilota.
A quel punto, sì, sarebbe risultata assolutamente inopportuna.

Non ha avuto altrettanta prontezza Adidas che, al termine della maratona di Boston di pochi giorni fa, ha inviato ai suoi clienti un’email per congratularsi, commettendo un passo falso che diventerà case history sulle slide di consulenti e formatori di tutto il mondo: “Complimenti, sei sopravvissuto!”.
Una classica operazione di real time marketing dal tono confidenziale e ironico che, però, non tiene conto del fatto che nel 2013 questo evento sportivo fosse stato teatro di un attentato che provocò 3 morti e oltre 260 feriti.

Il finale è oltremodo prevedibile: indignazione social e mea culpa da parte di Adidas, che si è dichiarata “incredibilmente dispiaciuta e mortificata” per l’accaduto.

Il marketing è il cuore di un’azienda.
Ecco, magari non dimentichiamo il cervello.

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